“SCRITTI DI CORSA”, ANCHE LA PADOVA MARATHON TRA LE TOCCANTI PAGINE DEL LIBRO DI MAURO PIGOZZO

“SCRITTI DI CORSA”, ANCHE LA PADOVA MARATHON TRA LE TOCCANTI PAGINE DEL LIBRO DI MAURO PIGOZZO

Si corre per purificare la mente, per ristabilire il contatto con la natura e con gli altri; si corre perché è uno sport equo, che premia gli sforzi e dona più felicità di quanta sofferenza chieda in cambio. Si corre per prendere posto nel vortice. Il running è un viaggio interiore, che si basa sul senso di equità e rispetto. Il mantra è quello del sacrificio per ottenere i risultati, del coraggio di affrontare sfide sempre più alte, il rispetto per chi si incrocia nel cammino e la reverenza per la natura, luogo che sublima il percorso di ricerca di pace interiore attraverso lo sforzo. C’è dentro tutto questo - e molto altro - nel libro “Scritti di corsa - Cinquanta gare e un traguardo”, che il giornalista Mauro Pigozzo ha dedicato alle maratone più iconiche d’Europa. Dentro c’è anche la Padova Marathon, e il suo toccante racconto “dall’interno”, dopo averla corsa il 23 aprile 2018.

Ecco l’estratto del capitolo che parla di quella giornata, gentilmente concesso dall’autore. Noi, che siamo orgogliosi di avere avuto Mauro sulle nostre strade, non possiamo che invitarvi a leggere “Scritti di corsa”.

 

LA PADOVA MARATHON DI CARLETTO E IRENE

Ho imparato che terminare una maratona non è solo un traguardo atletico, è uno stato mentale che dice che tutto è possibile”.

(John Hanc)

Dicono che la maratona sia esercizio ipnotico. Ti insegnano che il ritmo è il mantra, che devi trovare il tuo passo, che l’orologio è il tic tac della tua prestazione. Quarantaduemilacentonovantacinque metri falcata dopo falcata, qualche ristoro qua e là a darti energia, e poi ancora correre correre correre. Ecco, la Padova Marathon è stata tutto, tranne questo.

Premessa: ho corso la Mezza Maratona, partenza da Abano, con la maglia di “Famiglie SMA”, un gruppo di genitori dal cuore troppo grande per essere contenuto in un petto umano. Eravamo una ventina circa. Ma per una serie di intoppi di salute – purtroppo non si tratta di strappi o contratture, quando le malattie sono così cattive – alla fine ci siamo trovati a spingere assieme “solo” il sorriso di Carletto. 

Carletto aveva un sogno. Correre. Ma il destino gli ha scritto nei geni una brutta parola: Sma. Aveva un anno quando il pediatra ha spiegato a mamma Lucia e papà Alessandro che la sua difficoltà ad alzarsi era l’atrofia muscolare spinale. Carletto, forse, non potrà mai correre. Ma da domenica 22 aprile ha portato a casa una medaglia, quella della Maratona di Padova. Perché è riuscito, ben legato al suo passeggino, a concludere i ventuno chilometri della Half Marathon. 

Io ero con lui, assieme ad un gruppo di genitori che rappresentano le Famiglie Sma del Veneto e che hanno deciso di sfidare l’asfalto e il solleone per realizzare il sogno di Carletto.

La partenza, assieme alla folla dei podisti, ad Abano Terme. Non era così difficile vederci. Maglietta gialla fluorescente, due ali blu come logo, energia da vendere. Siamo partiti per ultimi, davvero dietro a tutti. E la folla che salutava i runner alla partenza quasi non ci credeva, a vedere quello scricciolo legato nel passeggino, trascinato da un gruppo di pazzi urlanti di colore fluo. Applausi, sorrisi. “E pensare che non voleva più venire, stamattina”, raccontava papà Alessandro Fanton, un omone che ha giocato a rugby in serie A1 e che adesso lavora da project controller nell’alta velocità. “Voleva mettere la maglietta di Batman, quella che la nonna gli aveva portato a casa dagli Stati Uniti. Ma noi l’abbiamo costretto a vestire questa delle famiglie Sma”.

Carletto sorride, si prende il vento in faccia, mostra uno sguardo di sofferenza quando la ruota della carrozzina tocca una increspatura dell’asfalto. Gli occhi sono pieni di vita, sente gli applausi, è al centro del mondo. Una corsetta che per lui dura un’eternità, il tempo di finire il giro iniziale attorno ad Abano Terme. 

Che la Sma è una malattia delle cellule nervose del midollo spinale, quelle da cui partono i segnali diretti ai muscoli. Un male che coinvolge circa 700 famiglie in Italia, una cinquantina in Veneto e per il quale circa tre mesi fa una scoperta scientifica ha ridato speranza: forse qualcosa si potrà fare. Ma nell’attesa, la Sma causa un dolore cane a Carletto, non riuscirebbe a resistere tutta la Mezza Maratona con noi. Il papà lo carica in auto. Ci vediamo dopo, ometto coraggioso.

In cielo, c’era un sole gagliardo. Da vivere, una gara affollatissima, che pone Padova Marathon ai vertici nazionali per queste competizioni: circa 3500 i podisti competitivi; ventimila i partecipanti alle stracittadine. E noi, ultimi tra gli ultimi, quasi ad imitare il mitico Giorgio Calcaterra dell’ultima maratona di Roma, a superare a ritmi blandi chiunque ci capitasse a tiro, canticchiando e incoraggiando chi aveva meno fiato di noi. 

E dopo qualche chilometro, ecco di nuovo Carletto. Foto di gruppo, dammi il cinque, bravi tutti, e poi via ancora. Ma mentre noi correvamo verso Padova, lui è rimasto lì ancora un po’. A dare ancora il cinque ai runner che vedeva, sollevando appena la mano. “Va a finire che qualcuno gli spacca la spalla, è debolissimo”, era davvero preoccupata mamma Lucia, dipendente comunale in un paesino vicino a Martellago, dove vive con la famiglia.

E poi via, anche lei per un giorno serena, a correre perdifiato verso Prato della Valle. Carletto ha aspettato la scia delle magliette gialle fluorescenti all’altezza del Santo, dopo la fine dell’acciottolato. Per lui, le ali di folla acclamanti, il gonfiabile del traguardo, il tappeto rosso, il saluto dello speaker. E la medaglia. L’ha presa in mano, masticata come fanno gli atleti seri, e poi si è fatto prendere in braccio dal papà. “Ci sono riuscito pure io, dai, papà: rifacciamolo”.

Capita pure che il cuore si spezzi in una lacrimuccia, in momenti come questi. Papà appoggia di lato la bici e pensa ad un amico, Alessandro Battistin, un rugbista padovano che ha scoperto un anno fa che nel suo, di corpo, c’erano altre tre lettere tremende: Sla. Doveva correrla con noi, la Padova Marathon, ma non ha potuto. Carletto sorride e il papà tira fuori il telefonino. Posta la foto dell’arrivo del figlio e dedica la vittoria all’amico Alessandro. 

Ma la mia Padova Marathon non è stata solo questo. In mezzo, ho pure raccolto per strada un amico di Roma, Andrea, che nella vita è ricercatore universitario di quelli che catalogano come cervelli in fuga: se l’è rubato l’università di Londra. Nel caso specifico, però, aveva subito una fuga di diverso tipo: la moglie Sara correva verso il suo primato nella Mezza e lo aveva abbandonato sotto il solleone padovano. Per lui era la seconda Mezza, l’ha sofferta e non poco. 

E allora mi venivano in mente le immagini vissute l’anno scorso, sempre a Padova, quando avevo corso la Marathon: leggevo sui chilometri 30, 31, 32, 33 ma in realtà noi avevamo sulle gambe 10, 11, 12 chilometri. La sofferenza è sempre proporzionale all’allenamento, tutti possono diventare maratoneti. Andrea però mi sa che preferisce la piscina.

Infine, l’appendice di una gara stupenda, organizzata con classe e stile da un gruppo di professionisti delle corse, capace di portare oltre ventimila podisti in Prato della Valle tra i duemila eroi della Maratona, i 2.500 della Mezza e l’esercito dei 18.000 delle stracittadine.

Quando sono arrivato ho visto al traguardo gli occhi tristi di Irene, figlioletta di Marco, un caro amico che aveva avuto l’ardire di sfidare i 42.195 per la seconda volta. “Dove è mio papà?”, mi chiedeva. “Sai cosa c’è?” le risposto. “Torno indietro sul percorso e te lo porto”. Ci doveva mettere quattro ore, sono risalito lungo il serpentone dei runner per due, tre chilometri fino a superare i palloncini delle quattro ore e mezza, ormai ero di nuovo fuori Padova.

E Marco era sparito. Nel frattempo, si udivano racconti di persone che suonavano ai campanelli delle case elemosinare dell’acqua, di ambulanze che portavano via runner disidratati – un bel sole estivo, niente da dire: ma all’ombra di un albero è riposante, dovendoci correre sotto invece diventa una tortura. 

Sono tornato al traguardo, ed Irene era ancora lì, nella sua gonnellina arcobaleno e con gli occhi tristi. Dove è mio papà? Ho finto sicurezza, magari arrivava.

E per fortuna eccolo comparire – lui correva con la maglia verde della Onlus Linfa, altra bella storia di solidarietà – con la faccia mezza rossa dal sole e mezza bianca dove prima aveva la bandana. Irene ha scavalcato la transenna e poi via, verso il traguardo. Dove un volontario più sensibile che burocrate (ogni tanto, per fortuna, se ne trovano) le ha pure regalato la medaglia della Maratona. Non male, come esordio.

Irene la mostrerà alla maestra, maratoneta e invidiosa. Carletto ha mostrato la sua medaglia ai genitori, felice di essere riuscito a portarla a casa e di aver vissuto una giornata epica. Ecco, tutto qui. Grazie Padova Marathon, perché dentro quei quarantaduemilacentonovan-vantacinque metri c’è davvero tutto, e se li corri senza l’orologio diventi ancora più bella.